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TORINO SOSTENIBILE

La nuova Torino non parla di ambiente ma realizza progetti e idee innovative per dare concretezza alla parola sostenibilità. La forestazione urbana, la riqualificazione ambientale e il recupero dei milioni di metri quadrati delle aree abbandonate sono priorità che possono essere realizzate anche con il Recovery Fund. La nuova Torino utilizza il verde non solo ragioni estetiche ma per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e investe nel risparmio energetico e nella rottamazione dell'edilizia di pessima qualità, inserendo nel proprio piano regolatore principi concreti che salvaguardino i suoli dalla distruzione. La nuova Torino sfrutta le proprie bellezze ambientali a partire dai 4 fiumi che la attraversano e le centinaia di ettari di bosco della collina che sono un vero e proprio patrimonio spesso poco conosciuto, utilizzato e valorizzato.

Nella nostra città e nella nostra regione non andava tutto bene prima delle chiusure dovute alla pandemia, figuriamoci ora. I dati sono devastanti: quasi un milione di posti di lavoro persi in Italia, soprattutto a carico dei giovani, dei lavoratori autonomi e dei contratti a termine. Torino è tra le situazioni più critiche con una previsione di netto peggioramento nei prossimi mesi, con la fine della cassa integrazione e del blocco dei licenziamenti.

L’amministrazione comunale non può creare lavoro direttamente, e questo va ribadito per evitare di alimentare promesse ridicole. Però si possono mettere in campo una serie di azioni per creare condizioni favorevoli al lavoro, all’impresa, agli individui. Serve, citando Marco Bentivogli: rigenerare le città; mettere insieme economia ambientale, quella sociale e la nuova manifattura (Torino non è più la FIAT ormai da tempo ma non è vero che la manifattura non sia un pezzo del futuro). Dobbiamo puntare su innovazione e trasferimento tecnologico, sulle infrastrutture, unendo le forze che esistono sul territorio con quelle europee. Dobbiamo dire basta al welfare elettorale (vedi Decreto dignità) sapendo che non torneremo all’equilibrio precedente. Ma soprattutto dobbiamo utilizzare le risorse europee per favorire la transizione verso un nuovo modello di città.

Grazie all’anagrafe pubblica degli eletti, promossa dai Radicali con una delibera di iniziativa popolare e approvata nel 2010 dal Consiglio comunale, da dieci anni chiunque può – con pochi click – avere notizie sulla presenza in Aula degli eletti al Comune, sui loro interventi, sui documenti presentati, su quanto percepiscono di compenso e altre informazioni relative alla loro attività politica e amministrativa. Quando qualcuno mi chiede “tu cosa hai fatto per questa città”? Io rispondo che tra le mille cose fatte e che faccio c’è questa delibera che porta la mia prima firma da cittadino torinese, una delibera che ha consentito a tutti di conoscere. Lo stesso abbiamo conquistato per la Regione Piemonte e poi per tutta Italia, dal Parlamento alle circoscrizioni. Oggi chi si riempie la bocca con slogan su trasparenza e partecipazione dovrebbe imparare e partire da qui: una delibera di iniziativa popolare con migliaia di firme di torinesi ha consentito a tutti di sapere cosa fanno gli eletti e quanto guadagnano in virtù del loro incarico.

Con “Idee x Torino” e con Valentino Castellani, durante la Giunta Fassino abbiamo conquistato elementi di riforma nella scelta dei nominati nelle partecipate; elementi non ancora sufficienti per garantire che competenze e capacità siano i principali criteri della scelta.

Quello che manca e che vorrei si potesse realizzare nella prossima consiliatura è la conoscenza delle attività e le performance delle società partecipate e controllate dal Comune. Non semplicemente i bilanci che già sono pubblici, ma indicatori di efficienza sui servizi svolti. Lo abbiamo proposto a questa Giunta reiteratamente, consegnando all’allora Assessore Pisano una bozza di delibera, senza ottenere ascolto o risposta. Lo faremo noi, se ce ne darete l’occasione.

 

L’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici sono divenuti di moda. Non per questo si stanno applicando politiche concrete che possano effettivamente modificare in meglio la vita della città. Molto spesso ci si limita a enunciazioni generiche, certo condivisibili, ma poco legate alla realtà. Dire che bisogna “fare qualcosa” o “si deve smettere di sfruttare le risorse del pianeta” è semplice ma non produce risultati. Più complesso, ma necessario, provare a declinare progetti che possano cambiare i cicli produttivi, migliorare l’ambiente cittadino, mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. La nostra regione, dati recenti, ha visto negli ultimi decenni un incremento di circa 2° della temperatura media. Un valore assai elevato che modifica l’ambiente in cui viviamo.

Ecco tre proposte:

  • Il posizionamento e la scelta delle aree verdi non può più solo seguire criteri estetici e paesaggistici. Si deve puntare sulla riduzione degli impatti delle ondate di caldo e dell’inquinamento atmosferico, selezionando le specie e i luoghi più adatti.
  • La forestazione urbana è la nuova frontiera dei parchi cittadini. Creare aree a bosco, con specie adatte a suolo e clima, rappresenta un ottimo strumento didattico per la popolazione, per recuperare aree degradate e contribuire alla riduzione dell’anidride carbonica in atmosfera.
  • Alleanza tra la città e il Parco di Superga. Chiunque arrivi a Torino la prima volta rimane impressionato dal paesaggio della collina, una barriera naturale facilmente accessibile che rappresenta un polmone per lo più sconosciuto e non sfruttato dai torinesi. Scuole di ogni ordine e grado devono costituire con il Parco un’alleanza per far conoscere questo patrimonio ambientale.

Tutto questo – e molto altro – deve essere fatto con una progettazione metropolitana, di area vasta, con un accordo tra Torino e i grandi comuni della cintura. Anche per il “verde” è impensabile considerare solo i confini comunali.

L’area metropolitana torinese è una delle più colpite dal consumo di suolo, dalla cementificazione. A fronte di un dato nazionale di poco più del 7% di suolo consumato, nella provincia di Torino arriviamo all’8,6% e nel comune al 65%.

Da anni proviamo a costringere la politica ufficiale a occuparsene. Abbiamo proposto al Consiglio comunale (la scorsa consiliatura, e lo facemmo con i 5Stelle) di indire un referendum consultivo contro il consumo di suolo imponendo di inserire nel piano regolatore della città questo elemento e differenziando la qualità dei suoli. C’era la Giunta Fassino e la maggioranza del PD lo hanno impedito. Lo abbiamo riproposto alla Giunta Appendino e ai 5Stelle, sia per Torino che per la città metropolitana, ma la risposta è stata NO.

Credo che si debbano salvaguardare i suoli e anzi sono convinto che si possa e si debba ricostituire suoli oggi distrutti eliminando infrastrutture industriali ormai non più utilizzate. Dobbiamo riconquistare spazio per far infiltrare le acque e limitare i danni delle alluvioni e per costruire un ecosistema antropico più rispettoso del suolo.

L’obiettivo europeo di avvicinarsi al consumo zero entro il 2050 possiamo porcelo per l’area metropolitana torinese a fra 10 anni? Io credo proprio di sì.

Quante parole, su questi temi, abbiamo sentito da chi oggi governa la città! Eppure ci sono gli strumenti e gli esempi che dal 2010 avevamo in parte già prospettato con “Idee x Torino”, senza trovare orecchie attente.

Che fare, quindi? Milano ha la fortuna di avere un Assessore che su questo ha aperto molte strade: Lorenzo Lipparini (un caso che sia un Radicale? No).

Allora prendiamo esempio e importiamo buone pratiche che prevedono il pieno coinvolgimento di cittadini e circoscrizioni.

  • I “patti di collaborazione” per riqualificare via e aree degradate, firmati dalla amministrazione, da enti, università e soprattutto da locali associazioni e gruppi formali e informali. Un modo concreto di lavorare insieme tra amministrazione, cittadini e realtà territoriali per un obiettivo comune che fa sentire propria la proprietà pubblica; un modo perché ognuno faccia la sua parte dando un contributo per migliorare la vita nei quartieri.
  • Il “Bilancio partecipativo”, attivando la raccolta di idee e di progetti specifici volti a migliorare la qualità della vita della città, progetti e idee da votare on-line per selezionare i migliori che verranno finanziati e realizzati.
  • I “Cleaning Day”, o se preferite i giorni dedicati alla pulizia della città nei quali, una volta al mese o con frequenze maggiori, dal Sindaco ai consiglieri, dai volontari alle associazioni, formare gruppi organizzati per ripulire le aree più degradate della città, cancellare scritte sui muri degli edifici e riqualificare.

Tutte attività che non sostituiscono i compiti del Comune ma che si aggiungono e fanno squadra. Perché per cambiare occorre farlo insieme.

Già 10 anni fa abbiamo indicato l’esistenza di più Torino diverse, e che l’asse di Corso Regina Margherita era (ed è) una trincea che separa il centro dai problemi di Torino Nord. Lo abbiamo detto e ridetto, scritto e riscritto; non abbiamo trovato ascolto.

Nelle periferie la percezione di insicurezza è molto elevata a differenza dei quartieri centrali e della collina.

Dare luce, letteralmente, alle aree, le vie e le piazze è una priorità assoluta. Luce significa non solo mettere dei lampioni qua e là, ma progettare e strutturare sistemi di illuminazione capaci di cambiare gli ambienti. Luce significa sicurezza e qualità della vita.

Davide Neku ce lo ricorda spesso ed è tema centrale come lo sono le manutenzioni dei marciapiedi e del verde di quartiere e dei giardini periferici. Oggi si dà priorità alla gestione delle aree verdi centrali ma lasciare al degrado le aree verdi periferiche implica un degrado sociale che alimenta scontento e rabbia.

Se a qualcuno tutto questo pare di secondaria importanza io credo non abbia capito nulla.

La nostra città è tra le più indebitate d’Italia. Eppure senza investimenti cospicui non ci sarà un futuro di crescita e Torino continuerà a perdere abitanti e a perdersi.

I soldi che arriveranno dal Recovery Fund saranno risorse fondamentali per rilanciare e riprogettare la città, mettendo finalmente al centro dei nostri obiettivi la sostenibilità.

Dobbiamo strutturarci per conquistare le risorse necessarie al rilancio di Torino.

Per questo credo occorra, da subito, assegnare deleghe politiche all’assessorato al bilancio e istituire un ufficio specifico che costruisca e selezioni i progetti da sostenere (con le risorse umane già a disposizione del comune). Inutile immaginare mille rivoli di spesa; serve una visione complessiva che non può essere costruita solo da Torino ma in una collaborazione strettissima con i grandi comuni della conurbazione.

Ecco qualche linea da seguire che è a mio avviso prioritaria:

  • approvare un piano di rigenerazione urbana che punti a trasformare la città recuperando aree costruite e abbandonate;
  • promuovere una rottamazione edilizia di edifici fatiscenti per ricostruire con criteri sostenibili dal punto di vista energetico o per generare nuove aree verdi;
  • mettere in sicurezza il territorio metropolitano da dissesti seguendo i criteri di meno cemento e più aree seminaturali;
  • riqualificazione delle periferie con progetti all’avanguardia su sistemi di illuminazione e manutenzione delle infrastrutture, degli edifici e delle aree verdi;
  • realizzazione di reti metropolitane di piste ciclabili che favoriscano l’utilizzo della bicicletta.

Sui rifiuti – e sul ciclo dei rifiuti – per decenni non si è riusciti a ragionare dati alla mano, tutti presi da un inconcludente confronto da stadio.

Oggi Torino non è certo messa male rispetto a molte altre realtà nazionali. Molto è stato fatto ma molto si può ancora fare. La svolta per la città è stata prodotta con l’introduzione di una efficace raccolta riciclata e la costruzione dell’inceneritore, chiudendo la discarica di Basse di Stura.

Ecco qui alcune proposte concrete:

  • Attivare una campagna martellante rivolta proprio ai torinesi sulla corretta differenziazione. In particolare, su vetro e organico abbiamo problemi importanti da risolvere: arriva troppo vetro alla bocca dell’inceneritore e l’eccesso di organico danneggia il potere calorifico e “sporca” le altre componenti quando non ben differenziato.
  • Aumentare i siti di raccolta degli olii esausti. Si tratta di un rifiuto che se rovesciato nei lavandini crea grossi problemi, ma conferirli ai centri appositi è troppo oneroso per i cittadini in termini di tempo.
  • Progettare un sistema di incentivazione per il posizionamento nei cortili dei grandi condomini di diffusori di acqua filtrata (i punti acqua sono troppo pochi) per ridurre il consumo di bottiglie di plastica e portare acqua perfetta sotto casa.
  • Dato che una parte significativa della plastica raccolta con la differenziata finisce comunque all’inceneritore, chiedere a livello nazionale (non si può incidere solo con un’azione locale) riforme in grado di aumentare la domanda di plastica riciclata e la contemporanea riduzione di utilizzo negli imballaggi.
  • Nelle aree periferiche, oltre al monitoraggio dei rifiuti abbandonati illegalmente nei quali vi possono essere indizi sulla provenienza, è opportuno installare foto-trappole che inviano le immagini rilevate in tempo reale alle forze dell’ordine.

Il commercio di prossimità è in una grave crisi, crisi che non riguarda solo la nostra Città e che non inizia con l’emergenza della pandemia. Ma oggi la situazione è divenuta drammatica.

Da gennaio i piccoli negozi hanno perso consistenti quote di fatturato dovuto alle difficoltà precedenti, acuite dalla crisi determinata dal Covid-19. Molti hanno dovuto chiudere i battenti, determinando una perdita di lavoro per i proprietari e per i dipendenti. Sembra ovvio dirlo, eppure, in molti settori della nostra società, questi lavoratori non sono considerati, ed è errore gravissimo.

Il comune di Torino da anni non rivede le proprie strategie in materia di commercio; dal 2008 a oggi non ha modificato il proprio piano commerciale (strumento accessorio ma obbligatorio del PRGC, il Piano Regolatore) cosa che permette un ulteriore insediamento di altre grandi strutture commerciali. Chi governa oggi la città urlava contro i grandi centri commerciali, poi come si sa le cose sono andate diversamente.

Noi proponiamo una immediata revisione del piano commerciale che limiti fortemente l’apertura di nuovi grandi centri (in sovrannumero rispetto alle esigenze) e al contempo favorisca il commercio di vicinato.

La città di Torino, il Sindaco della città di Torino, dovrebbe pretendere dalla Regione Piemonte la promozione dei “piani di qualificazione urbana” o dei “distretti del commercio” per incentivare il commercio di vicinato e gli esercizi di somministrazione, tramite l’istituzione di specifiche associazioni di commercianti disponibili a investire per incrementare e promuovere il commercio locale con interventi coordinati tra l’ente pubblico e i privati. La legge c’è ma come molte altre è inapplicata e i soldi dalla Regione non arrivano.

Il commercio è vitale per ogni quartiere della nostra città; creare piccoli centri città in alcune aree della periferia è una chiave di sviluppo da sfruttare meglio di quanto fatto sinora.

Quante città conoscete che abbiano 4 fiumi che le attraversano? Certamente poche. Noi abbiamo l’immensa fortuna di essere pervasi dalle acque che scorrono.

Il Po è la spina dorsale che riceve le acque del Sangone a sud, della Dora Riparia che taglia la città da ovest a est, dello Stura di Lanzo a nord.

Immaginate il valore aggiunto per Torino se tutte le sponde fluviali fossero facilmente accessibili, percorribili a piedi e su piste ciclabili e se magari vi fossero aree attrezzate per chi passa l’estate a Torino? Una città che non sa valorizzare i propri tesori è una città destinata al declino. Non basta sistemare le sponde del Po più prossime al centro, serve un progetto metropolitano di recupero e valorizzazione della naturalità e dell’accessibilità dei nostri corsi d’acqua. Certo che servono risorse, ma questo sarebbe un investimento con un enorme ritorno.

Serve inoltre, sul Po, da Moncalieri a Piazza Vittorio, riaprire la navigazione anche coinvolgendo società private e capitali privati con imbarcazioni leggere che abbiano la capacità di resistere alla corrente ma non creino disagi a chi utilizza il fiume con imbarcazioni a remi. Il trasporto via fiume è una splendida occasione turistica ma può essere anche una sorta di metropolitana d’acqua dolce per chi ha necessità di spostarsi da Torino sud verso il centro e viceversa.

Non parlo di Juventus e Torino, non parlo di sport a grandi livelli; parlo di strutture diffuse e rese disponibili con adeguata manutenzione, che possano essere utilizzate da chi vuole praticare attività ludica e sportiva.

La città in questi decenni ha perduto molti centri sportivi comunali, abbandonati a loro stessi e alle erbacce. Luoghi – ad esempio campi da calcio in terra o in erba – che hanno ospitato migliaia di ragazzi e molte decine di squadre e che oggi sono lasciati al degrado. Nei miei ricordi di gioventù rivivo le decine di partite ai campi della Falchera e al Motovelodromo. Due esempi di luoghi da recuperare allo sport dilettantistico e amatoriale come luoghi di aggregazione e di salutari attività; in questi due casi i progetti di recupero ci sono e spero siano portati a compimento, ma in molti altri non ve n’è nemmeno l’ombra.

Con “Idee x Torino”, lo ricordo spesso, dopo aver sentito da molti professionisti affermati della nostra città quali fossero le priorità da sviluppare e sulle quali investire, andando per strada e nei quartieri ci accorgemmo che molti ragazzi chiedevano campi di basket, di calcetto o di pallavolo. Campi liberi dove poter fare attività.

Recuperare o realizzare un numero adeguato di strutture nelle aree periferiche sarebbe una piccola rivoluzione, perché questi luoghi diverrebbero centri di socialità, di aggregazione e di integrazione.

Il 2020 ha dimostrato a tutti l’importanza della scienza e le madornali cantonate che si prendono senza l’utilizzo del metodo scientifico. La nostra città è un’eccellenza da questo punto di vista, malgrado moltissimi cittadini torinesi non lo sappiano.

Il Politecnico è il nostro fiore all’occhiello, insieme a moltissimi corsi di laurea dell’Università di Torino e a centri di ricerca privati. Dall’aerospazio alle nanotecnologie, passando per le energie rinnovabili, alla chimica verde fino alle scienze naturali, Torino è un polo fondamentale nel panorama nazionale ed europeo.

Il Comune, come istituzione, può fare due azioni.

  • La prima: costruire reti tra centri di ricerca e aziende, lavorare per confermare e ampliare i finanziamenti europei e a progetti di ricerca internazionali, nei quali inserire i nostri territori come un elemento imprescindibile, facendo crescere competenze e professionalità. Ricerca in campo scientifico significa economia circolare, miglioramento dell’efficienza energetica, utilizzo parsimonioso delle risorse naturali, crescita di aziende specializzate, posti di lavoro.
  • La seconda: diffondere capillarmente le conoscenze, sfruttando e promuovendo le risorse didattiche e divulgative che già oggi sono presenti per scoprire l’ambiente che ci circonda e i fenomeni naturali e fisici nei quali viviamo.

Cito solo 4 esempi che sono da valorizzare:

  • Museo dell’Astronomia e Planetario “Infini.to” con le sue produzioni e con i simulatori a Pino Torinese, vicino all’Osservatorio Astronomico.
  • Museo A come Ambiente all’interno del parco scientifico e tecnologico Environment Park di Torino. Dal 2004 un eccezionale strumento divulgativo su energia, trasporti, rifiuti e acqua.
  • Museo Regionale di Scienze Naturali che DEVE ritrovare nuovo splendore e DEVE essere riaperto al più presto.
  • Orto Botanico di Torino che da qualche anno ha ritrovato il proprio splendore.

 

Una nota personale a margine riguarda l’Istituto di ricerca dove lavoro da oltre 25 anni, occupandomi di suoli, cambiamenti climatici e lotta a patogeni: IPLA spa, l’Istituto per le Piante da Legno e l’Ambiente della Regione Piemonte. Un esempio di come i fondi pubblici possano produrre miriadi di dati sul territorio per rispondere prontamente alle sfide che l’Europa propone, e per avvicinare il nostro Paese a quanto chiesto dall’Accordo di Parigi sul clima.